Un team di ricercatori dell'università dello Utah gudati da Eric Garland ha sviluppato il programma MORE (Mindfulness, Oriented Recovery Enhancement) che impiega tecniche di mindfulness su pazienti con dolore cronico e assuefazione agli oppiodi utilizzati per la relativa terapia. Il cuore dell'intervento consiste nell'aiutare le persone a recuperare significato e pienezza nella vita di tutti i giorni, riscoprendone gli aspetti piacevoli e accogliendo il proprio dolore senza considerare i farmaci come l'unica strategia di fronteggiamento possibile.
Il programma unisce in maniera funzionale le ultime ricerche disponibili in materia di dipendenza, neuroscienze, psicologia positiva e mindfulness. Lo studio che presenta MORE è stato pubblicato dal Journal of Behavioral Medicine.
I pazienti hanno partecipato a dieci settimane di training applicando tecniche mindfulness-oriented per alleviare il dolore rafforzando le emozioni positive e il senso di significato e piacevolezza della vita. In pratica gli esercizi sono una rieducazione dell'attenzione a spostarsi da ciò che pare inevitabilmente tenerla in ostaggio (pensieri cupi, sensazioni fisiche sgradevoli) a piccoli dettagli piacevoli come colori, odori e consistenza di un mazzo di fiori, per esempio. I risultati della ricerca mostrano che più il cervello dei soggetti diventa attivo nel rispondere a stimoli naturali e piacevoli, più cala la richiesta di oppioidi. In sintesi educare al piacere rende piàù tollerabile il dolore.
martedì 9 dicembre 2014
mercoledì 12 novembre 2014
MINDFULNESS E DISTURBI ALIMENTARI
venerdì 31 ottobre 2014
LA TRISTEZZA E' L'EMOZIONE PIU' LUNGA, LA NOIA E' MOLTO RAPIDA.
La tristezza dura fino a 240 volte più a lungo della vergogna, della sorpresa, dell’irritazione e addirittura della noia. Lo hanno scoperto Philippe Verduyn e Saskia Lavrijsen dell’Università belga di Leuven. La ragione è complessa e articolata ma può essere sintetizzata in un concetto: si è tristi spesso come adattamento a eventi importanti e quindi la notevole durata della tristezza consente a chi la prova di avere il tempo necessario per adattarsi e riassestarsi dopo una perdita anche di rilievo.
La misurazione temporale dell’emozione è stata però delegata al self-report dei 233 studenti delle scuole superiori coinvolti nello studio. I partecipanti dovevano individuare tra 27 emozioni elencate quelle che meglio si abbinavano a episodi recenti della loro vita, descrivendo poi la durata delle emozioni medesime e le strategie adottate per gestirle. Tautologicamente i risultati confermano che accadimenti di scarso rilievo inducono emozioni di breve durata, al contrario di quanto avviene con eventi più ingombranti, cioè con implicazioni più intense per il soggetto. Quando tali implicazioni o conseguenze si manifestano scaglionate nel tempo, l’emozione di riferimento perdura.
A volte è proprio la durata a determinare un criterio di discriminazione tra le emozioni. Per esempio la colpa dura più a lungo della vergogna e l’ansia si manifesta con maggiore durevolezza della paura.
Inoltre più una persona pensa e ripensa a un evento, più allunga la durata dell’emozione correlata. In altre parole: il rimuginio mantiene intatta la sofferenza, ma può prolungare anche il piacere o la felicità.
Una curiosità sulla noia: per quanto gli eventi che ci fanno sbadigliare sembrino non passare più, l’emozione della noia in quanto tale è tra le più rapide.
La misurazione temporale dell’emozione è stata però delegata al self-report dei 233 studenti delle scuole superiori coinvolti nello studio. I partecipanti dovevano individuare tra 27 emozioni elencate quelle che meglio si abbinavano a episodi recenti della loro vita, descrivendo poi la durata delle emozioni medesime e le strategie adottate per gestirle. Tautologicamente i risultati confermano che accadimenti di scarso rilievo inducono emozioni di breve durata, al contrario di quanto avviene con eventi più ingombranti, cioè con implicazioni più intense per il soggetto. Quando tali implicazioni o conseguenze si manifestano scaglionate nel tempo, l’emozione di riferimento perdura.
A volte è proprio la durata a determinare un criterio di discriminazione tra le emozioni. Per esempio la colpa dura più a lungo della vergogna e l’ansia si manifesta con maggiore durevolezza della paura.
Inoltre più una persona pensa e ripensa a un evento, più allunga la durata dell’emozione correlata. In altre parole: il rimuginio mantiene intatta la sofferenza, ma può prolungare anche il piacere o la felicità.
Una curiosità sulla noia: per quanto gli eventi che ci fanno sbadigliare sembrino non passare più, l’emozione della noia in quanto tale è tra le più rapide.
martedì 28 ottobre 2014
DEPRESSIONE: MUSICA + TERAPIA E' MEGLIO, PER I GIOVANISSIMI
Per i bambini e gli adolescenti con tendenze depressive e problemi comportamentali ed emotivi la musicoterapia ha un’efficacia rilevante e dimostrata da una ricerca irlandese condotta da un team della Queen’s University di Belfast. Tra il 2011 e il 2014 un campione clinico di 251 ragazzi e ragazze è stato diviso in due sottogruppi: al primo è stata somministrata una psicoterapia ordinaria, al secondo la psicoterapia più la musicoterapia. Ebbene, a schiacciante maggioranza, chi ha ricevuto anche il trattamento basato sui suoni ha ottenuto punteggi migliori in termini di innalzamento dell’autostima, riduzione della depressione, miglioramento delle abilità relazionali e comunicative. Lo studio viene indicato come il più ampio mai condotto sul tema.
domenica 26 ottobre 2014
PANICO E LUCE INTENSA, UNA CORRELAZIONE DA ESPLORARE
L'avversione alla luce intensa e' associata all'insorgere
degli attacchi di panico: un gruppo di ricercatori dell'Universita' di Siena ha
confrontato 24 pazienti con disordine da attacchi di panico, con 33 pazienti
sani. Usando un questionario sulla fotosensibilita' (Photosensitivity
Assessment Questionnaire - PAQ) hanno scoperto che i pazienti soggetti ad
attacchi di panico dimostravano un'avversione alta o sopra alla media ripetto
alla luce intensa. Lo studio e' stato presentato durante il congresso
dell'European College of Neuropsychopharmacology di Berlino. Si tratta della
prima indagine specifica sulla reazione alla luce da parte di pazienti affetti
da disturbo da attacchi di panico, mentre studi precedenti avevano rilevato una
forte componente stagionale nell'insorgere del disturbo. Si tratta di uno
studio pilota che andrà approfondito su un campione più esteso per capire, per
esempio, se la correlazione sia costante
nel tempo.
venerdì 24 ottobre 2014
LA PSICOTERAPIA MODIFICA IL DNA
La psicoterapia cambia la vita. E’ il suo scopo, diciamo. E cambia la vita perché muta il modo di pensare, la gestione delle emozioni, il comportamento. Neurologicamente, modifica i pattern bioelettrici del cervello e la secrezione dei neurotrasmettitori. Tutte cose note, che rispondono a diversi livelli alla tipica domanda: “com’è possibile che parlare o fare qualche esercizio possa guarirmi?”. Ora una ricerca tedesca sostiene che la psicoterapia ha un’influenza diretta anche sul DNA.
Gli autori dello studio studio pubblicato sulla rivista Psychotherapy and Psychosomatics, un gruppo di scienziati tedeschi della Universitat Konstanz, hanno isolato il Dna di alcune cellule del sangue di individui con PTSD e di individui sani, usati come gruppo di controllo. All'inizio dello studio hanno misurato il livello di danno genetico sul Dna di tutto il campione e in questa fase è emerso che chi soffre di stress post-traumatico presenta più frequenti danni a carico del proprio corredo genetico suggerendo la possibilità che a livello molecolare lo stress cronico incida sul rischio tumorale di un individuo. I ricercatori si sono poi concentrati sui pazienti con PTSD dividendoli in due gruppi, uno dei quali ha intrapreso un percorso di psicoterapia, mentre l’altro non è stato coinvolto in alcun tipo di intervento terapeutico. Alla fine del percorso il Dna delle cellule sanguigne del campione di pazienti è stato nuovamente esaminato. I ricercatori hanno constatato che il ciclo di psicoterapia favorisce i naturali processi di riparazione del Dna e anche la riduzione dei danni genetici che erano stati riscontrati all'inizio dello studio.
Insomma la psicoterapia incide non solo sul benessere psichico del paziente ma lascia una traccia “visibile” persino sui suoi geni. Quando la parola trasforma.
Gli autori dello studio studio pubblicato sulla rivista Psychotherapy and Psychosomatics, un gruppo di scienziati tedeschi della Universitat Konstanz, hanno isolato il Dna di alcune cellule del sangue di individui con PTSD e di individui sani, usati come gruppo di controllo. All'inizio dello studio hanno misurato il livello di danno genetico sul Dna di tutto il campione e in questa fase è emerso che chi soffre di stress post-traumatico presenta più frequenti danni a carico del proprio corredo genetico suggerendo la possibilità che a livello molecolare lo stress cronico incida sul rischio tumorale di un individuo. I ricercatori si sono poi concentrati sui pazienti con PTSD dividendoli in due gruppi, uno dei quali ha intrapreso un percorso di psicoterapia, mentre l’altro non è stato coinvolto in alcun tipo di intervento terapeutico. Alla fine del percorso il Dna delle cellule sanguigne del campione di pazienti è stato nuovamente esaminato. I ricercatori hanno constatato che il ciclo di psicoterapia favorisce i naturali processi di riparazione del Dna e anche la riduzione dei danni genetici che erano stati riscontrati all'inizio dello studio.
Insomma la psicoterapia incide non solo sul benessere psichico del paziente ma lascia una traccia “visibile” persino sui suoi geni. Quando la parola trasforma.
SI E' CONCLUSA LA NOSTRA RICERCA SULLE TECNICHE DI RILASSAMENTO
Tra maggio e agosto 2014 abbiamo condotto una ricerca per valutare
quali tecniche di rilassamento siano più efficaci "mentre" vengono
eseguite (anche per la prima volta) e "subito dopo" la fine
dell'esecuzione. Lo scopo è capire quale sistema sia preferibile
adottare per un intervento calmante rapido nel corso di una seduta
iniziale di psicoterapia o in medicina/psicologia d'emergenza.
Hanno partecipato 50 persone di età compresa tra 20 e 55 anni, nessuna diagnosi psichiatrica grave, nessuna assunzione regolare di alcol, stupefacenti o psicofarmaci. Il test durava 60 minuti e comprendeva la compilazione di alcuni questionari cartacei e la misurazione di alcuni parametri fisiologici (battito cardiaco, respirazione, microsudorazione delle mani, temperatura periferica) attraverso sensori apposti sulle dita. Per i 90 minuti precedenti la seduta di test occorreva evitare di assumere cibi e caffè.
Queste le tecniche di rilassamento oggetto d'indagine.
1) Ipnosi (preindotta, poi richiamata)
2) Meditazione del respiro, prot MBSR
3) Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson
4) HeartRate Variability con software HeartMath
5) Brainwave entrainment acustico + fotico con hardware e software Mindfield
Grazie a tutti coloro i quali ci hanno dedicato tempo e presenza per effettuare la ricerca. Nelle prossime settimane divulgheremo i risultati.
Hanno partecipato 50 persone di età compresa tra 20 e 55 anni, nessuna diagnosi psichiatrica grave, nessuna assunzione regolare di alcol, stupefacenti o psicofarmaci. Il test durava 60 minuti e comprendeva la compilazione di alcuni questionari cartacei e la misurazione di alcuni parametri fisiologici (battito cardiaco, respirazione, microsudorazione delle mani, temperatura periferica) attraverso sensori apposti sulle dita. Per i 90 minuti precedenti la seduta di test occorreva evitare di assumere cibi e caffè.
Queste le tecniche di rilassamento oggetto d'indagine.
1) Ipnosi (preindotta, poi richiamata)
2) Meditazione del respiro, prot MBSR
3) Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson
4) HeartRate Variability con software HeartMath
5) Brainwave entrainment acustico + fotico con hardware e software Mindfield
Grazie a tutti coloro i quali ci hanno dedicato tempo e presenza per effettuare la ricerca. Nelle prossime settimane divulgheremo i risultati.
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SONDAGGIO: SEI UN GELOSO DIGITALE?
Psicologi, psicoterapeuti e avvocati matrimonialisti ripetono da tempo che è in costante aumento il fenomeno del controllo delle relazioni affettive
attraverso
l'osservazione segreta della corrispondenza elettronica della propria
dolce metà. Smartphone, tablet e pc sono prolungamenti della nostra
vita, protesi della nostra relazionalità e soprattutto
contenitori insicuri dei nostri segreti, innocui e non. Partner gelosi,
paranoici o semplicemente curiosi non si fanno sfuggire l'occasione per
dare una semplice occhiata o sondare in profondità le
comunicazioni archiviate nei device e on line.
Avete risposto al nostro sondaggio, effettuato in collaborazione con marieclaire.it in tantissimi (circa 400 persone).
Visualizza i risultati.
Avete risposto al nostro sondaggio, effettuato in collaborazione con marieclaire.it in tantissimi (circa 400 persone).
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Dall’analisi dei risultati emerge che il
68% del campione effettua qualche tipo di
monitoraggio sui dati riservati della propria dolce metà attraverso
cellulare o pc (e il 60% ritiene di essere a sua volta monitorato).
Inoltre il 49%, nonostante la propria curiosità sul
comportamento della controparte, ammette di aver tradito in prima
persona (il 57% degli uomini contro il 47% delle donne).
Incrociando i dati si arriva alla singolare evidenza che chi è geloso
al punto da controllare i device elettronici del partner tradisce più di
chi non lo fa (il 51% contro il 45%). A dire il vero circa il 90% del
campione si dichiara in qualche modo geloso ma le donne
si descrivono come più intensamente gelose degli uomini, tanto che il 4%
di loro definisce patologica la propria gelosia. Per il 51% delle femmine un partner geloso è piacevole, mentre il
43% dei maschi considera fastidiosa una compagna con le stesse caratteristiche.
Il
cuore del sondaggio riguarda la gelosia digitale. Il 57% di chi ha
risposto al questionario controlla le nuove
amicizie del partner su Facebook (le donne lo fanno il doppio degli
uomini) e il 60% nota i suoi orari di connessione su Whatsapp (anche qui
la prevalenza femminile è schiacciante). Uno
su due ha letto segretamente messaggi di Whatsapp o SMS, uno su tre la
posta elettronica, il 42% i messaggi di facebook. Il 30% ha le password
di accesso ai servizi on line del
partner. In tutti i casi la componente femminile del campione è più
ficcanaso di quella maschile. Con una sola eccezione: il 4% degli uomini
dichiara di aver installato sul telefonino della compagna
un software spia, contro il 2% delle donne. La fascia d’età che
si fida di più è quella tra i 40 e i 49. Quella più diffidente è tra i
20 e i 29. A vergognarsi di più dei controlli effettuati
sono gli over 50, ma nel complesso il 56% del campione non si fa alcun
problema, anzi il 61% ha rivelato apertamente al partner di aver
sbirciato dove non avrebbe dovuto, e il 15% ignora addirittura
che la violazione della privacy e della corrispondenza altrui sia un
reato. A che pro, tutto questo? Il 50% di chi effettua i controlli
digitali afferma di aver scoperto un tradimento grazie alle
proprie tecnomanovre. Il che significa che l’altro 50% si è fatto il
sangue marcio per nulla.
IN PARTENZA WORKSHOP E GRUPPI PER IL MAL D'AMORE
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