mercoledì 4 marzo 2015

BDSM: LE SFUMATURE DI CHI GIOCA SADOMASO



Una studentessa ventunenne, semplice e inesperta, si innamora di un giovane uomo ricco, bello e potente che le fa scoprire una sessualità estrema basata sulla dominazione. Questa è, in sintesi, la trama del tanto discusso libro (e ora film) “Cinquanta sfumature di grigio”: una storia un po’ banale e molto voyeuristica a base di sesso kinky, cioè non convenzionale, annacquato da litri di romanticismo iperconvenzionale. La trilogia di sfumature ha venduto più di cento milioni di copie in trentasette paesi: cosa attrae così tanto delle gesta di Christian Grey e Anastasia Steele, i due protagonisti? Una sessualità che trasgredisce senza uscire dall’alveo della concezione tradizionalista di amore e famiglia. La scelta di sdoganare e rendere pop il BDSM (acronimo che sta per Bondage, Disciplina, Dominazione, Sottomissione, Sadismo e Masochismo) sembra una manovra perfetta per una società liquida - come direbbe il filosofo polacco Bauman - in cui le relazioni hanno forme poco durevoli e confini mutevoli. E’ una questione di accento storico: non più legàmi ma lègami, insomma.

Corde, fruste, gabbie, umiliazioni, torture consensuali: sono comportamenti di nicchia o fenomeni di massa, disturbi psichici o semplici giochi erotici? E chi apprezza queste pratiche? Chi sono e come funzionano, in altre parole, i cultori del BDSM attivi in Italia? Difficile dire con certezza quanti siano, innanzitutto: non esistono dati certi a disposizione ma gli esperti del settore stimano che si tratti di quattro milioni di individui, tra praticanti esclusivi e saltuari. La storia della psicologia risponde in modo diverso a quelle domande, a seconda dell’epoca, e passa dal considerare tutti i comportamenti sessuali non convenzionali come “malati”, al normalizzarli ampiamente. Nel 1886 Richard von Krafft-Ebing sistematizza le anomalie sessuali nel volume “Psychopatia sexualis” e introduce sadismo e masochismo. Nel 1905 Freud definisce perversioni gli atti sessuali che si concentrano su oggetti diversi dagli organi riproduttivi e, anche se negli anni ‘20 comincia a diffondersi il termine parafilia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo adotta soltanto nel 1980: prima, dal 1952, preferisce la dicitura deviazione sessuale. Oggi il DSM 5, l’ultima edizione del manuale diagnostico universalmente adottato in psichiatria, parla di disturbi parafilici, ne individua otto (voyeuristico, esibizionistico, frotteuristico, da masochismo sessuale, da sadismo sessuale, pedofilico, feticistico, da travestitismo) e indica come criteri per considerare gli agiti sessuali veri e propri disturbi la persistenza per almeno sei mesi del comportamento, il disagio o la compromissione del funzionamento in ambito sociale o lavorativo, l’eventuale ruolo non consenziente della controparte. Eppure da trent’anni è in corso, nella letteratura scientifica, una progressiva normalizzazione delle pratiche erotiche non convenzionali, giudicate come neosessualità fantasiosa e sana se priva di compulsioni (Mc Dougall, 1986), semplice variazione del menage di coppia (Gabbard, 1994), perversioni soft in alternativa alla routine (Pasini, 2009). Ricerche recenti affermano inoltre che i praticanti BDSM esperti hanno profonda fiducia e consapevolezza del corpo (Powell, 2011), ottengono risultati migliori della norma negli stress-test (Richters, 2008), sono meno sessisti (Simula, 2013), più estroversi e meno sensibili al rifiuto e all’abbandono (Wismejer, 2013).

Negli ultimi cinque mesi abbiamo condotto una ricerca sul campo, frequentando gli eventi e le serate BDSM milanesi, appuntamenti di solito mensili che attraggono cultori del genere da tutto il nord Italia. Per un bilanciamento geografico ci siamo introdotti nei gruppi di discussione on line, e nelle pagine tematiche su Facebook. Abbiamo dunque selezionato attraverso contatti diretti e individuali un campione di 120 reali praticanti, escludendo le persone solamente curiose o alla prima esperienza: 70 maschi e 50 femmine, dai 19 ai 65 anni. Il 41% di loro ha tra i 40 e i 50 anni; uno su tre è laureato; sette su dieci sono eterosessuali, il 29% è bisessuale, soltanto l’1% è esclusivamnte omosessuale; la maggioranza (40%) è composta da persone che partecipano alle pratiche nel ruolo di sottomessi o schiavi, seguono i dominanti o master/mistress (32%) e gli switch (28%), che assumono entrambi i ruoli a seconda della situazione o del partner. Il 46% pratica BDSM alla pari con una sessualità convenzionale, il 44% prevalentemente BDSM, il 6% in esclusiva, il restante 4% soltanto occasionalmente. A tutti abbiamo somministrato una batteria di test (Experiences in Close Relationships-Revised, Big Five Questionnaire e Millon Clinical Multiaxial Inventory - III) in grado di misurare  lo stile affettivo delle relazioni (secondo le dimensioni di ansia ed evitamento, che descrivono l’attaccamento), le caratteristiche di personalità (energia, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale) e gli eventuali quadri di interesse clinico presenti nel campione (sindromi cliniche e pattern di personalità patologica).

Per quel che concerne i costrutti riguardanti le relazioni, non ci sono differenze significative tra chi pratica BDSM e la popolazione generale in merito all’ansia da abbandono, mentre il livello di evitamento della vicinanza è notevolmente più elevato (+26%) ed è correlato al ruolo: i soggetti dominanti sono più evitanti dei sottomessi e degli switch. A livello di caratteristiche di personalità, i praticanti BDSM sono significativamente meno amichevoli della media della popolazione ma più aperti mentalmente (specie gli over 50) mentre hanno valori nella norma per energia, coscienziosità e stabilità emotiva. Osservando i sottocampioni, i soggetti dominanti risultano più stabili emotivamente rispetto agli altri, e le femmine meno amichevoli dei maschi. 

A livello clinico si rileva un pattern di personalità narcisistica significativamente superiore alla media della popolazione generale: quasi il 50% manifesta punteggi sopra soglia (di questi il 71% richiederebbe approfondimenti diagnostici). Si tratta in parole povere di individui che spesso manifestano arroganza, simulano impassibilità ma in realtà si sentono facilmente feriti, si ritengono oggetto d’ammirazione indiscriminata, hanno scarsa empatia e tendono a strumentalizzare gli altri. 

I ruoli di dominanza o sottomissione rivestiti durante la pratica BDSM non sono connessi alle analoghe tendenze patologiche di personalità: il punteggio del pattern masochistico rilevato dal test - descritto come un profilo deferente, castigato, esageratamente lamentoso - è significativamente inferiore alla media, e il pattern sadico-aggressivo – un soggetto brusco, sprezzante, rigido, ostile - è nella norma. Insomma chi fa sadomaso non risulta patologicamente né sado né maso. 

Infine gli indici relativi alle sindromi cliniche di ansia e distimia (tristezza) sono significativamente inferiori rispetto alla media. 

In sintesi si può affermare che chi pratica BDSM è un individuo meno ansioso e meno triste dell’uomo medio, non risulta particolarmente amichevole però è di larghe vedute e fortemente curioso, ha una personalità spiccatamente narcisistica, è a caccia di un’identità più integrata, necessita di attenzioni notevoli da parte degli altri pur dovendo mantenere emotivamente le distanze per evitare una sensazione di invasione o di ulteriore disgregazione. Tutto questo secondo infinite sfumature, non necessariamente di grigio, che vanno dal perfettamente sano al francamente patologico, lungo un continuum all’interno del quale ogni soggetto fa storia a sé.