Una studentessa ventunenne, semplice e
inesperta, si innamora di un giovane uomo ricco, bello e potente che le fa
scoprire una sessualità estrema basata sulla dominazione. Questa è, in sintesi,
la trama del tanto discusso libro (e ora film) “Cinquanta sfumature di grigio”:
una storia un po’ banale e molto voyeuristica a base di sesso kinky, cioè non convenzionale,
annacquato da litri di romanticismo iperconvenzionale. La trilogia di sfumature
ha venduto più di cento milioni di copie in trentasette paesi: cosa attrae così
tanto delle gesta di Christian Grey e Anastasia Steele, i due protagonisti? Una
sessualità che trasgredisce senza uscire dall’alveo della concezione
tradizionalista di amore e famiglia. La scelta di sdoganare e rendere pop il BDSM (acronimo che sta per
Bondage, Disciplina, Dominazione, Sottomissione, Sadismo e Masochismo) sembra
una manovra perfetta per una società liquida - come direbbe il filosofo polacco
Bauman - in cui le relazioni hanno forme poco durevoli e confini mutevoli. E’
una questione di accento storico: non più legàmi ma lègami, insomma.
Corde, fruste, gabbie, umiliazioni,
torture consensuali: sono comportamenti di nicchia o fenomeni di massa,
disturbi psichici o semplici giochi erotici? E chi apprezza queste pratiche?
Chi sono e come funzionano, in altre parole, i cultori del BDSM attivi in
Italia? Difficile dire con certezza quanti siano, innanzitutto: non esistono
dati certi a disposizione ma gli esperti del settore stimano che si tratti di
quattro milioni di individui, tra praticanti esclusivi e saltuari. La storia
della psicologia risponde in modo diverso a quelle domande, a seconda
dell’epoca, e passa dal considerare tutti i comportamenti sessuali non
convenzionali come “malati”, al normalizzarli ampiamente. Nel 1886 Richard von
Krafft-Ebing sistematizza le anomalie sessuali nel volume “Psychopatia
sexualis” e introduce sadismo e masochismo. Nel 1905 Freud definisce perversioni gli atti sessuali che si
concentrano su oggetti diversi dagli organi riproduttivi e, anche se negli anni
‘20 comincia a diffondersi il termine parafilia,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo adotta soltanto nel 1980: prima, dal
1952, preferisce la dicitura deviazione
sessuale. Oggi il DSM 5, l’ultima edizione del manuale diagnostico universalmente
adottato in psichiatria, parla di disturbi
parafilici, ne individua otto (voyeuristico, esibizionistico, frotteuristico,
da masochismo sessuale, da sadismo sessuale, pedofilico, feticistico, da
travestitismo) e indica come criteri per considerare gli agiti sessuali veri e
propri disturbi la persistenza per almeno sei mesi del comportamento, il
disagio o la compromissione del funzionamento in ambito sociale o lavorativo,
l’eventuale ruolo non consenziente della controparte. Eppure da trent’anni è in
corso, nella letteratura scientifica, una progressiva normalizzazione delle
pratiche erotiche non convenzionali, giudicate come neosessualità fantasiosa e sana se priva di compulsioni (Mc
Dougall, 1986), semplice variazione del menage
di coppia (Gabbard, 1994), perversioni soft in alternativa alla routine
(Pasini, 2009). Ricerche recenti affermano inoltre che i praticanti BDSM
esperti hanno profonda fiducia e consapevolezza del corpo (Powell, 2011),
ottengono risultati migliori della norma negli stress-test (Richters, 2008),
sono meno sessisti (Simula, 2013), più estroversi e meno sensibili al rifiuto e
all’abbandono (Wismejer, 2013).
Negli ultimi cinque mesi abbiamo condotto
una ricerca sul campo, frequentando gli eventi e le serate BDSM milanesi, appuntamenti
di solito mensili che attraggono cultori del genere da tutto il nord Italia. Per
un bilanciamento geografico ci siamo introdotti nei gruppi di discussione on
line, e nelle pagine tematiche su Facebook. Abbiamo dunque selezionato attraverso
contatti diretti e individuali un campione di 120 reali praticanti, escludendo
le persone solamente curiose o alla prima esperienza: 70 maschi e 50 femmine,
dai 19 ai 65 anni. Il 41% di loro ha tra i 40 e i 50 anni; uno su tre è
laureato; sette su dieci sono eterosessuali, il 29% è bisessuale, soltanto l’1%
è esclusivamnte omosessuale; la maggioranza (40%) è composta da persone che
partecipano alle pratiche nel ruolo di sottomessi o schiavi, seguono i
dominanti o master/mistress (32%) e gli switch (28%), che assumono entrambi i
ruoli a seconda della situazione o del partner. Il 46% pratica BDSM alla pari
con una sessualità convenzionale, il 44% prevalentemente BDSM, il 6% in
esclusiva, il restante 4% soltanto occasionalmente. A tutti abbiamo
somministrato una batteria di test (Experiences
in Close Relationships-Revised, Big
Five Questionnaire e Millon Clinical
Multiaxial Inventory - III) in grado di misurare lo stile affettivo delle relazioni (secondo
le dimensioni di ansia ed evitamento, che descrivono l’attaccamento), le
caratteristiche di personalità (energia, amicalità, coscienziosità, stabilità
emotiva, apertura mentale) e gli eventuali quadri di interesse clinico presenti
nel campione (sindromi cliniche e pattern di personalità patologica).
Per quel che concerne i costrutti
riguardanti le relazioni, non ci sono differenze significative tra chi pratica
BDSM e la popolazione generale in merito all’ansia da abbandono, mentre il
livello di evitamento della vicinanza è notevolmente più elevato (+26%) ed è
correlato al ruolo: i soggetti dominanti sono più evitanti dei sottomessi e
degli switch. A livello di caratteristiche di personalità, i praticanti BDSM
sono significativamente meno amichevoli della media della popolazione ma più
aperti mentalmente (specie gli over 50) mentre hanno valori nella norma per
energia, coscienziosità e stabilità emotiva. Osservando i sottocampioni, i
soggetti dominanti risultano più stabili emotivamente rispetto agli altri, e le
femmine meno amichevoli dei maschi.
A livello clinico si rileva un pattern di
personalità narcisistica significativamente superiore alla media della
popolazione generale: quasi il 50% manifesta punteggi sopra soglia (di questi
il 71% richiederebbe approfondimenti diagnostici). Si tratta in parole povere
di individui che spesso manifestano arroganza, simulano impassibilità ma in
realtà si sentono facilmente feriti, si ritengono oggetto d’ammirazione
indiscriminata, hanno scarsa empatia e tendono a strumentalizzare gli altri.
I ruoli di dominanza o sottomissione
rivestiti durante la pratica BDSM non sono connessi alle analoghe tendenze
patologiche di personalità: il punteggio del pattern masochistico rilevato dal
test - descritto come un profilo deferente, castigato, esageratamente lamentoso
- è significativamente inferiore alla media, e il pattern sadico-aggressivo –
un soggetto brusco, sprezzante, rigido, ostile - è nella norma. Insomma chi fa
sadomaso non risulta patologicamente né sado né maso.
Infine gli indici relativi alle sindromi
cliniche di ansia e distimia (tristezza) sono significativamente inferiori
rispetto alla media.
In sintesi si può affermare che chi
pratica BDSM è un individuo meno ansioso e meno triste dell’uomo medio, non
risulta particolarmente amichevole però è di larghe vedute e fortemente
curioso, ha una personalità spiccatamente narcisistica, è a caccia di
un’identità più integrata, necessita di attenzioni notevoli da parte degli
altri pur dovendo mantenere emotivamente le distanze per evitare una sensazione
di invasione o di ulteriore disgregazione. Tutto questo secondo infinite
sfumature, non necessariamente di grigio, che vanno dal perfettamente sano al
francamente patologico, lungo un continuum all’interno del quale ogni soggetto
fa storia a sé.
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