domenica 24 maggio 2015

IL RESPIRO: LA TUA PRATICA FONDAMENTALE



Alcuni teorici della consapevolezza definiscono il respiro come “un bacio intimo dato al momento presente”.
In realtà è molto di più. E’ soprattutto il metodo naturale e perfettamente biologico con cui sei in grado di regolare la mente e il corpo e di calmare il nucleo reattivo del tuo cervello.
Fondamentalmente, la respirazione diaframmatica attiva il tuo sistema personale di rilassamento, una specie di impianto di aria condizionata del corpo e del cervello. In parole povere respirare con la pancia preserva il cervello dal surriscaldamento. 
Ecco, in tre semplici punti, quali sono i vantaggi di questo tipo di respirazione:
  1. Respirare con la pancia permette ai polmoni di spingere il diaframma
  2. Il diaframma si estroflette e a sua volta comprime la cavità addominale
  3. L’addome compresso genera a sua volta pressione gonfiando la parete molle anteriore e esercitando una sollecitazione sulla spina dorsale, posteriormente.
In questo modo viene premuto il più lungo dei nervi craniali, cioè il nervo vago, che scorre lungo il tronco encefalico e la colonna vertebrale. Quando è sottoposto a questo tipo di coinvolgimento, il nervo vago acquieta il corpo e attiva il sistema di rilassamento fisiologico, regolando il sistema nervoso parasimpatico in modo da aumentarne l’efficienza.

Quando il nervo vago viene sollecitato, lo scenario completo di ciò che accade è il seguente:
  1. Pressione sanguigna, frequenza cardiaca e respiratoria si abbassano
  2. Il sangue viene ripulito dal lattato che aumenta la sensazione di ansia
  3. Viene rilasciato il neurotrasmettitore serotonina (il 95% del quale è depositato nella zona ventrale e viscerale del corpo), che entra in circolo e si ritrova nel cervello in una trentina di secondi.

La letteratura scientifica mostra che sono sufficienti venti minuti di respirazione diaframmatica per attivare e ossigenare la parte più consapevole ed evoluta del tuo cervello, la corteccia prefrontale.  Respiri, quindi pensi. Meglio respiri, meglio pensi. E più tranquillo sei.

La respirazione diaframmatica ottimale ha una frequenza di sei episodi al minuto, dunque un respiro ogni dieci secondi. Poiché l’inspirazione attiva il sistema nervoso simpatico o eccitatorio e l’espirazione il parasimpatico o rilassante, conviene mantenere un ritmo costante con circa quattro secondi per inspirare e sei per espirare. Un altro buon ritmo, più lento, su cui puoi allenarti è di sette secondi per l’inspirazione e undici per l’espirazione.

Se ti alleni in “tempo di pace” anche solo con una decina di minuti al giorno, in “tempo di guerra” ti sarà facile adottare questa strategia per calmarti. In altre parole: abituati a respirare con la pancia quando sei tranquillo per poi riuscirci senza difficoltà e con maggiori vantaggi anche quando sei agitato o in ansia.

sabato 23 maggio 2015

LA MINDFULNESS FUNZIONA COME UNA PSICOTERAPIA, ECCO PERCHE’.

Che la meditazione di consapevolezza, ormai protocollata a livello internazionale come mindfulness, abbia vigorosi effetti clinici è un’evidenza consolidata da centinaia di ricerche internazionali. Una delle ultime pubblicazioni, risalente al febbraio 2015, mostra come i gruppi di mindfulness abbiano la medesima efficacia della terapia cognitivo-comportamentale individuale sui pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore. Lo studio, su 215 soggetti, è del prof. Jan Sundquist della Lund University Svedese.

Si tratta però di capire esattamente perché la mindfulness sia così efficace, cioè come funziona precisamente all’interno del cervello. David Creswell della Carnegie Mellon University – noto per aver mostrato che la meditazione allevia lo stress, e riduce il senso di solitudine negli anziani – ha sviluppato recentemente un modello che descrive l’azione della pratica sulle vie dello stress, evidenziando i correlati biologici del training di mindfulness.

Quando un soggetto è sotto stress, l’attività cerebrale nella zona prefrontale della corteccia – deputata al controllo e alla pianificazione – diminuisce, mentre l’attività dell’amigdala, dell’ipotalamo e della corteccia cingolata anteriore – zone di attivazione rapida della risposta fisiologica d’allarme – aumenta. La pratica della mindfulness inverte questo pattern sotto stress, aumentando l’attività prefrontale che, a sua volta, è in grado di regolare e spegnere la risposta d’allarme. Riducendo l’esperienza individuale di stress, la meditazione può aiutare a regolare stabilmente la risposta fisiologica e quindi a ridurre il rischio e la gravità dei disturbi stress-correlati.

I VIDEOGAME SONO UN FATTORE DI RISCHIO PER L’ALZHEIMER?

Entro i 21 anni di età chi gioca con i videogame ha speso almeno 10mila ore davanti allo schermo: un training piuttosto intenso, se consideriamo l’attività videoludica sotto il punto di vista neuropsicologico. Gli effetti di questa attività così intensa e ripetuta cominciano a essere studiati soltanto in questi ultimi anni. Una ricerca recentemente pubblicata dai team  di Gregory West (Università di Montreal) e Véronique Bohbot  (McGill University) evidenzia che il cervello dei videogamers mostra una notevole efficienza in termini di attenzione visiva, ma anche che le strategie di orientamento e scelta dei medesimi soggetti sono dettate più dai centri dopaminergici di ricompensa, detti anche centri del piacere (nucleo caudato) e meno dal sistema di memoria spaziale “ufficiale” (ippocampo). Questo significa allo stesso tempo che chi videogioca molto e a lungo sollecita maggiormente le aree cerebrali connesse alle dipendenze e alla gratificazione immediata, mentre tende a usare meno l’ippocampo, risultanza associabile a un’ipotesi di aumento di rischio di disturbi neurologici come il morbo di Alzheimer. Sui centri del piacere si è già concentrata molta della ricerca attuale: è auspicio dei team coinvolti in questo studio che prossime pubblicazioni siano specificamente rivolte all’investigazione del ruolo dell’ippocampo.

WIRED RIPRENDE LA RICERCA PERSONOLOGICA SUL BDSM.

A questo link è possibile leggere l'articolo di Ayzad con l'intervista che approfondisce i risultati della ricerca invernale condotta nel mondo del BDSM e pubblicata in esclusiva per il Venerdì di Repubblica nel mese di febbraio.

mercoledì 4 marzo 2015

BDSM: LE SFUMATURE DI CHI GIOCA SADOMASO



Una studentessa ventunenne, semplice e inesperta, si innamora di un giovane uomo ricco, bello e potente che le fa scoprire una sessualità estrema basata sulla dominazione. Questa è, in sintesi, la trama del tanto discusso libro (e ora film) “Cinquanta sfumature di grigio”: una storia un po’ banale e molto voyeuristica a base di sesso kinky, cioè non convenzionale, annacquato da litri di romanticismo iperconvenzionale. La trilogia di sfumature ha venduto più di cento milioni di copie in trentasette paesi: cosa attrae così tanto delle gesta di Christian Grey e Anastasia Steele, i due protagonisti? Una sessualità che trasgredisce senza uscire dall’alveo della concezione tradizionalista di amore e famiglia. La scelta di sdoganare e rendere pop il BDSM (acronimo che sta per Bondage, Disciplina, Dominazione, Sottomissione, Sadismo e Masochismo) sembra una manovra perfetta per una società liquida - come direbbe il filosofo polacco Bauman - in cui le relazioni hanno forme poco durevoli e confini mutevoli. E’ una questione di accento storico: non più legàmi ma lègami, insomma.

Corde, fruste, gabbie, umiliazioni, torture consensuali: sono comportamenti di nicchia o fenomeni di massa, disturbi psichici o semplici giochi erotici? E chi apprezza queste pratiche? Chi sono e come funzionano, in altre parole, i cultori del BDSM attivi in Italia? Difficile dire con certezza quanti siano, innanzitutto: non esistono dati certi a disposizione ma gli esperti del settore stimano che si tratti di quattro milioni di individui, tra praticanti esclusivi e saltuari. La storia della psicologia risponde in modo diverso a quelle domande, a seconda dell’epoca, e passa dal considerare tutti i comportamenti sessuali non convenzionali come “malati”, al normalizzarli ampiamente. Nel 1886 Richard von Krafft-Ebing sistematizza le anomalie sessuali nel volume “Psychopatia sexualis” e introduce sadismo e masochismo. Nel 1905 Freud definisce perversioni gli atti sessuali che si concentrano su oggetti diversi dagli organi riproduttivi e, anche se negli anni ‘20 comincia a diffondersi il termine parafilia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo adotta soltanto nel 1980: prima, dal 1952, preferisce la dicitura deviazione sessuale. Oggi il DSM 5, l’ultima edizione del manuale diagnostico universalmente adottato in psichiatria, parla di disturbi parafilici, ne individua otto (voyeuristico, esibizionistico, frotteuristico, da masochismo sessuale, da sadismo sessuale, pedofilico, feticistico, da travestitismo) e indica come criteri per considerare gli agiti sessuali veri e propri disturbi la persistenza per almeno sei mesi del comportamento, il disagio o la compromissione del funzionamento in ambito sociale o lavorativo, l’eventuale ruolo non consenziente della controparte. Eppure da trent’anni è in corso, nella letteratura scientifica, una progressiva normalizzazione delle pratiche erotiche non convenzionali, giudicate come neosessualità fantasiosa e sana se priva di compulsioni (Mc Dougall, 1986), semplice variazione del menage di coppia (Gabbard, 1994), perversioni soft in alternativa alla routine (Pasini, 2009). Ricerche recenti affermano inoltre che i praticanti BDSM esperti hanno profonda fiducia e consapevolezza del corpo (Powell, 2011), ottengono risultati migliori della norma negli stress-test (Richters, 2008), sono meno sessisti (Simula, 2013), più estroversi e meno sensibili al rifiuto e all’abbandono (Wismejer, 2013).

Negli ultimi cinque mesi abbiamo condotto una ricerca sul campo, frequentando gli eventi e le serate BDSM milanesi, appuntamenti di solito mensili che attraggono cultori del genere da tutto il nord Italia. Per un bilanciamento geografico ci siamo introdotti nei gruppi di discussione on line, e nelle pagine tematiche su Facebook. Abbiamo dunque selezionato attraverso contatti diretti e individuali un campione di 120 reali praticanti, escludendo le persone solamente curiose o alla prima esperienza: 70 maschi e 50 femmine, dai 19 ai 65 anni. Il 41% di loro ha tra i 40 e i 50 anni; uno su tre è laureato; sette su dieci sono eterosessuali, il 29% è bisessuale, soltanto l’1% è esclusivamnte omosessuale; la maggioranza (40%) è composta da persone che partecipano alle pratiche nel ruolo di sottomessi o schiavi, seguono i dominanti o master/mistress (32%) e gli switch (28%), che assumono entrambi i ruoli a seconda della situazione o del partner. Il 46% pratica BDSM alla pari con una sessualità convenzionale, il 44% prevalentemente BDSM, il 6% in esclusiva, il restante 4% soltanto occasionalmente. A tutti abbiamo somministrato una batteria di test (Experiences in Close Relationships-Revised, Big Five Questionnaire e Millon Clinical Multiaxial Inventory - III) in grado di misurare  lo stile affettivo delle relazioni (secondo le dimensioni di ansia ed evitamento, che descrivono l’attaccamento), le caratteristiche di personalità (energia, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale) e gli eventuali quadri di interesse clinico presenti nel campione (sindromi cliniche e pattern di personalità patologica).

Per quel che concerne i costrutti riguardanti le relazioni, non ci sono differenze significative tra chi pratica BDSM e la popolazione generale in merito all’ansia da abbandono, mentre il livello di evitamento della vicinanza è notevolmente più elevato (+26%) ed è correlato al ruolo: i soggetti dominanti sono più evitanti dei sottomessi e degli switch. A livello di caratteristiche di personalità, i praticanti BDSM sono significativamente meno amichevoli della media della popolazione ma più aperti mentalmente (specie gli over 50) mentre hanno valori nella norma per energia, coscienziosità e stabilità emotiva. Osservando i sottocampioni, i soggetti dominanti risultano più stabili emotivamente rispetto agli altri, e le femmine meno amichevoli dei maschi. 

A livello clinico si rileva un pattern di personalità narcisistica significativamente superiore alla media della popolazione generale: quasi il 50% manifesta punteggi sopra soglia (di questi il 71% richiederebbe approfondimenti diagnostici). Si tratta in parole povere di individui che spesso manifestano arroganza, simulano impassibilità ma in realtà si sentono facilmente feriti, si ritengono oggetto d’ammirazione indiscriminata, hanno scarsa empatia e tendono a strumentalizzare gli altri. 

I ruoli di dominanza o sottomissione rivestiti durante la pratica BDSM non sono connessi alle analoghe tendenze patologiche di personalità: il punteggio del pattern masochistico rilevato dal test - descritto come un profilo deferente, castigato, esageratamente lamentoso - è significativamente inferiore alla media, e il pattern sadico-aggressivo – un soggetto brusco, sprezzante, rigido, ostile - è nella norma. Insomma chi fa sadomaso non risulta patologicamente né sado né maso. 

Infine gli indici relativi alle sindromi cliniche di ansia e distimia (tristezza) sono significativamente inferiori rispetto alla media. 

In sintesi si può affermare che chi pratica BDSM è un individuo meno ansioso e meno triste dell’uomo medio, non risulta particolarmente amichevole però è di larghe vedute e fortemente curioso, ha una personalità spiccatamente narcisistica, è a caccia di un’identità più integrata, necessita di attenzioni notevoli da parte degli altri pur dovendo mantenere emotivamente le distanze per evitare una sensazione di invasione o di ulteriore disgregazione. Tutto questo secondo infinite sfumature, non necessariamente di grigio, che vanno dal perfettamente sano al francamente patologico, lungo un continuum all’interno del quale ogni soggetto fa storia a sé.

martedì 13 gennaio 2015

QUAL E' LA TECNICA DI RILASSAMENTO PIU' EFFICACE? I RISULTATI DELLA NOSTRA RICERCA.

Tra la primavera e l'autunno 2014 il team di Psymind ha realizzato una ricerca sperimentale per verificare quale, tra cinque tecniche di rilassamento, fosse la più efficace, dati psicofisiologici alla mano. La classifica finale, ponderata attraverso l'osservazione clinica, vede primeggiare il biofeedback della variabilità cardiaca. Alle sue spalle ipnosi, brainwave entrainment, mindfulness e rilassamento muscolare progressivo di Jacobson. Una sintesi delle premesse della ricerca sarà pubblicata sul primo numero 2015 di "Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale" (Erickson). Una sintesi dei risultati occuperà un capitolo del Nuovo Trattato Italiano di Ipnosi (in corso di stampa a Padova). Per una sintesi videoragionata in meno di dieci minuti, ecco un video.


martedì 9 dicembre 2014

LA MINDFULNESS RIDUCE L'USO DI OPPIOIDI PER IL DOLORE CRONICO

Un team di ricercatori dell'università dello Utah gudati da Eric Garland ha sviluppato il programma MORE (Mindfulness, Oriented Recovery Enhancement) che impiega tecniche di mindfulness su pazienti con dolore cronico e assuefazione agli oppiodi utilizzati per la relativa terapia. Il cuore dell'intervento consiste nell'aiutare le persone a recuperare significato e pienezza nella vita di tutti i giorni, riscoprendone gli aspetti piacevoli e accogliendo il proprio dolore senza considerare i farmaci come l'unica strategia di fronteggiamento possibile.
Il programma unisce in maniera funzionale le ultime ricerche disponibili in materia di dipendenza, neuroscienze, psicologia positiva e mindfulness. Lo studio che presenta MORE è stato pubblicato dal Journal of Behavioral Medicine.
I pazienti hanno partecipato a dieci settimane di training applicando tecniche mindfulness-oriented per alleviare il dolore rafforzando le emozioni positive e il senso di significato e piacevolezza della vita. In pratica gli esercizi sono una rieducazione dell'attenzione a spostarsi da ciò che pare inevitabilmente tenerla in ostaggio (pensieri cupi, sensazioni fisiche sgradevoli) a piccoli dettagli piacevoli come colori, odori e consistenza di un mazzo di fiori, per esempio. I risultati della ricerca mostrano che più il cervello dei soggetti diventa attivo nel rispondere a stimoli naturali e piacevoli, più cala la richiesta di oppioidi. In sintesi educare al piacere rende piàù tollerabile il dolore.